martedì 29 ottobre 2013

Live Report


Calibro 35 “Traditori di tutti” Release Party @ Santeria, Milano 20/10/2013




Sotto il cielo cupo di una uggiosa domenica milanese, in un’atmosfera degna del miglior romanzo noir, mi dirigo verso la Santeria, location scelta dai Calibro 35 per presentare il nuovo progetto discografico Traditori di tutti (in uscita il 21 ottobre per l’etichetta Record Kicks) e promuovere il nuovo tour che, oltre alle date italiane, li vedrà protagonisti in diverse tappe europee. Il programma dell’evento è in perfetto stile Calibro, a cominciare dalla locandina dell’evento, sublime citazione al film Banditi a Milano dell’immenso Carlo Lizzani (drammaticamente scomparso lo scorso 5 ottobre). Si parte alle 16:30 con la proiezione di Milano Calibro 9, cult movie firmato Fernando di Leo (omaggiato dagli stessa band nel videoclip del nuovo singolo Giulia Mon Amour ) si prosegue con lo show case della band per poi concludere la giornata con un djset funk/soul curato dallo staff della Record Kicks.
Una volta arrivati ci si rende immediatamente conto dell’esigua capienza del posto rispetto all’elevato numero di persone accorse, gli stessi Calibro nei ringraziamenti sui social successivi al release party, si scuseranno con chi non sarà riuscito ad entrare, a causa di un livello di affluenza letteralmente sottovalutato.
Così, verso le 19:00, in un ambiente, come dire, molto intimo (per mancanza di spazio) e caldo (per mancanza di ossigeno), Enrico Gabrielli, Massimo Martellotta, Luca Cavina, Fabio Rondanini fanno il loro ingresso tra i forti applausi dei presenti. Qualche accenno introduttivo di Enrico ed inizia con Prologo uno show case che riproporrà dal vivo dieci delle dodici tracce presenti in Traditori di tutti.
Il groove travolgente emesso dalla band milanese fa immediatamente dimenticare ogni difficoltà respiratoria o di equilibrio tra il numeroso pubblico in sala. L’atmosfera è distesa, la band si diverte e fa divertire tutti raccontando , tra una sessione e l’altra, con sottile umorismo e numerosi aneddoti, la creazione del progetto Traditori di tutti, un album che trova la sua genesi direttamente tra le righe dell’omonimo libro di Scerbanenco, l’unico della quadrilogia di Duca Lamberti a non essere stato riadattato cinematograficamente.
Proprio da questo dettaglio nasce l’esigenza della band di creare un vestito sonoro ad un romanzo noir tra i migliori dell’autore di origine ucraina. Più che di concept album, si potrebbe parlare di una library con pezzi che traggono spunto direttamente dagli episodi presenti nel romanzo, interpretabili e riadattabili anche per qualsiasi altro contesto. Come ironicamente ci spiega Enrico: “Giulia Mon Amour  nasce per una scena che prevede un inseguimento notturno per le vie del centro ma ascoltandola potrebbe tranquillamente essere utilizzata in una scena di squartamento”, come dargli torto. Lo show case prosegue con Traitors, You Filthy Bastards!,One Hundred Guests, Two Pills in the Pocket. Sonorità funk, jazz, fusion si propagano rapidamente nella piccola sala arrivando spesso a toccare derive prog , fuzz o psych, grazie anche all’innesto di nuove strumentazioni come mellotron, l’organo Philicorda e dulcitone che vanno a completare gli arrangiamenti dei dodici brani tutti inediti presenti nel disco. Con Traditori di Tutti viene a consolidarsi quel processo di maturazione già innescatosi nella soundtrack di Said , dove i differenti tratti stilistici compositivi della band , dall’ala funk-based a quella più legata al free jazz o all’improvvisazione, si fondono quasi naturalmente trovando nuovi assetti e molteplici sfumature in nuove composizioni che riescono a spaziare dalla giocosità del pezzo beat o freak-beat più ballabile alle ricadute acide di brani dalle sessioni ritmiche al cardiopalma chiamati a far da cornice ad efferati omicidi compiuti in una Milano criminale,nei pressi del Naviglio Pavese dove, ironia della sorte, ha  sede lo studio di registrazione di Tommaso Colliva (produzione Muse, Afterhours). Sarà proprio lui l’ultimo ad intervenire raccontandoci le motivazioni che l’hanno spinto a voler registrare i Calibro proprio nel suo piccolo studio per la prima volta dopo anni di collaborazione: “la sfida é nata dopo aver visitato lo studio della Dapton Records a New York ed era letteralmente piccolo quanto il mio. Mi son detto cavolo, se gente come Sharon Jones ed Amy Winehouse è riuscita a far nascere dischi del genere da uno studio così piccolo allora dobbiamo farcela anche noi”. Poi conclude: “E’ stato molto buffo perché per andare a spostare un solo cavo ci pestavamo letteralmente i piedi l’uno con l’altro, abbiamo dovuto spostare il pianoforte nell’altra stanza per starci tutti, devo dire che è stato molto divertente”. Lo show case si conclude con Stainless Steel, forse il brano più riuscito dell’ album per intensità, potenza d’impatto e quel giro distorto di basso che tanto ricorda le cruente contaminazioni funk/alt-rock targate RATM.
Show case terminato, la Santeria si svuota lentamente, giusto il tempo per due chiacchiere dei presenti con la band e qualche disco autografato. Tante ritrovate certezze ed una fondamentale novità,  i Calibro 35 con quest’ultima opera voltano definitivamente le spalle a chi attendeva l’ennesimo album tributo alla grande tradizione del poliziottesco italiano. Tradiscono si, ma lo fanno nel più dolce dei modi.


SETLIST
Prologo
Giulia mon amour
Traitors
You, filthy bastards!
One hundred guests
Two pills in the pocket
Mescaline
Vendetta           
The butchers’s bride
ENCORE


lunedì 5 agosto 2013

Live Report

Toy @ Indie Summer Party, Circolo Magnolia - Milano, 23 Luglio 2013


L’indie summer party al Circolo Magnolia stasera ospita i Toy, quintetto londinese introdotto dagli amici Horrors e proposto come gruppo spalla durante il loro ultimo tour. Al fianco di S.C.U.M e Chapel Club, i Toy sono riusciti a ritagliarsi nel tempo un sempre più ampio seguito incrementato soprattutto dall’omonimo disco d’esordio, uscito per la Heavenly Records, un ottimo debutto nella nuova inflazionata e magmatica scena musicale shoegaze, post-punk, indie-rock britannica nella quale è sempre molto difficile emergere senza correre il rischio di risultare fin troppo ripetitivi o “già sentiti”, per non parlare poi dell’accanita concorrenza. Un rischio che i Toy hanno sicuramente scongiurato risultando una delle migliori novità musicali dello scorso anno. Nonostante le ottime premesse, nella data di Milano si è dovuto fare i conti con la realtà dei fatti. Il ritorno dei Toy in Italia dopo un mini tour invernale non è stato accolto dal pubblico milanese nel migliore dei modi. Circa una settantina di presenti (inclusi i barman e la sicurezza) hanno popolato l’ampia area antistante il secondo palco del circolo creando un impatto visivo non proprio indimenticabile. Cifre ingiustificatamente esigue, considerando la notevole qualità di una band addirittura definita “the next big thing” della nuova scena indipendente inglese. Un vero peccato considerando oltretutto l’entusiasmo comunicato attraverso i canali social ufficiali dove i cinque ragazzi si dicevano “Very excited to be playing Milan tonight at Magnolia”, ma vi assicuro che di eccitante, a parte le copiose ed inopportune punture di zanzare, c’è stato ben poco. Nulla da ridire assolutamente sulla qualità del loro live. Anche se durato solo un’ora e qualche minuto, il concerto ha colpito per impatto sonoro e precisione d’esecuzione. Preceduti dai Quincey e Le Case del Futuro, Tom Dougall e compagni sono on stage puntuali alle 22:00 ed aprono con Colours Running Out facendo subito intendere ai presenti di che pasta è fatta la band londinese. Armonie alienanti, condite da synth stratificati e mescolati a chitarre elettriche riverberate e distorte vengono accompagnate dalla voce penetrante e monocorde di Dougall che con il suo apporto timbrico arricchisce ed impreziosisce i brani spingendo le sessioni shoegaze verso derive kraut-rock e new-wave. Si prosegue con Left Myself Behind, cavallo di battaglia nonché singolo che ha lanciato i Toy lo scorso anno, e Dead and Gone brano di rara potenza strumentale con il finale in crescendo che ha permesso a quel treno chiamato Charlie Salvidge di esaltarsi in un drumming incalzante e frenetico lasciando letteralmente a bocca aperta i presenti. Il concerto prosegue, senza troppe pause, senza troppe riverenze, le poche parole in cockney stretto da parte di Dougall si limitano semplicemente ad introdurre i brani prima della loro esecuzione. E’ la volta di Motoring e del suo loop continuo di chitarre acide a tratti orchestrali valorizzate dalle tastiere di Aleandra Diez che riescono a dare al brano quel tocco di perdizione in più. Lo stesso vale per l’ipnotico giro di basso eseguito da Maxim Barron nella cupa strumentale Drifting Deeper. Il concerto si chiude con la mastodontica Kopter ed i suoi dieci minuti di frastornante wall of sound che proietta tutti in una devastante session shoegaze e noisy finale. A questo punto è naturale aspettarsi una encore ma la band risale sul palco quasi subito solo per smontarsi gli strumenti ed andarsene freddamente sparendo nel backstage tra l’imbarazzo generale del pubblico. Che sia a causa del malumore per il mezzo flop della serata o proprio questione di attitudine non è facile spiegarlo. L’unica cosa certa è che la scaletta non è stata delle migliori, grandi assenti della serata brani come Lose my Way o The reasons why, solo per citarne alcuni, avrebbero sicuramente meritato qualche minuto di concerto in più. In conclusione una esibizione che lascia fortemente l’amaro in bocca ma che conferma le immense potenzialità di una band che ci auguriamo non diventi l’ennesima cometa nella fin troppo popolata galassia indie britannica.

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venerdì 19 luglio 2013

Live Report

Tame Impala live @ Un Altro Festival, Circolo Magnolia - Milano, 10 Luglio 2013 



Il burrascoso cielo sopra Milano non sembra riservare le migliori delle accoglienze per i ritrovati Tame Impala, tornati nella capitale lombarda dopo il sold out dei Magazzini Generali lo scorso ottobre. La band australiana si presenta questa volta da headliner nella seconda e conclusiva serata di “Un Altro Festival” manifestazione organizzata da Comcerto che ha visto affacciarsi sui due palchi allestiti al Circolo Magnolia prestigiose promesse della scena indipendente nazionale ed internazionale come Daughters, Willy Mason, Matinée, Hot Gossip, Orange, Melody’S Echo Chamber, Deap Vally e Local Natives oltre alle due teste di serie Lumineers e Tame Impala per l’appunto. 
Una interessante rassegna musicale, facilmente accessibile grazie al costo esiguo degli ingressi, praticamente al suo bagno inaugurale. E proprio ad un bel bagno erano pronti i numerosi presenti che, noncuranti delle precarie condizioni metereologiche che continuavano a minacciare la serena conclusione del festival, hanno popolato in massa lo stage principale pronti a dimenticare ogni misero turbamento terrestre e a farsi trascinare da quel groove psichedelico che in pochi anni ha colonizzato il mondo intero spingendosi oltre i confini più remoti di uno space rock all’altezza delle sonorità barrettiane più elaborate. 

Manca poco alle 23:00 e la band di Perth puntuale fa il suo ingresso sul palco. Un breve saluto e si parte con un trip sonoro di circa un’ora e mezza di voci riverberate, ritmi sincopati mescolati a vorticosi ed ipnotici giri di tastiere sintetizzate e chitarre fuzz che in pochi brani avvolgono letteralmente i presenti proiettandoli in nuove dimensioni degne della migliore musica immaginifica, il tutto ulteriormente accentuato da suggestivi ed acidi visual sparati alle spalle della band. 
Unica nota stonata, i volumi inizialmente troppo bassi che quasi vanno a strozzare l’imponente sound emesso dai cinque australiani, successivamente gradualmente alzati lasciando forti dubbi riguardo l’intenzionalità o meno della scelta acustica. Ad essere riproposti sono i pezzi di maggior successo estratti sia da ”InnerSpeaker” che da”Lonerirsm” come Why Won’t You Make Up Your Mind?,Solitude is BlissMusic to Walk home byMind Mischiefintervallati in due riprese dalle massicce e psicotiche mini-session auto-prog 2 ed auto-prog 3 (come prima encore). 
Il concerto prosegue con Be Above It, Endors Toi, Half Full Glass Of Wine senza eccessive pause tra un brano e l’altro quasi a voler mantenere sempre costante quel mood lisergico e contaminato da kraut rock, dream-pop, elettronica e sprazzi di progressive perfettamente mashati fra loro costruendo un'unica armoniosa sessione sonora dal primo all’ultimo pezzo. 

Un timido e divertito Kevin Parker scambia verso metà concerto qualche battuta col pubblico e si arriva così all’attacco della travolgente Elephant che se fosse stata scritta verso il 71-72 avrebbe senza dubbio suscitato le invidie persino dei migliori Slade. Ma il momento topico giunge con l’esecuzione di Feels Like We Only Go Backwards. Non una sbavatura, come del resto tutto il concerto, suonata alla perfezione, quasi come se l’onda melodica abbattutasi sul pubblico fuoriuscisse direttamente dalla puntina posata sul proprio vinile, un notevole impatto sonoro sensibilmente potenziato dalla sottile pioggia che ha cominciato a cadere proprio durante l’esecuzione del brano, contribuendo a rendere l’atmosfera ancora più onirica, quasi surreale. Oscilly,Alter Ego, Apocalypse Dreams e ci si avvicina verso il finale. 
Tra il disappunto dei presenti Parker ringrazia tutti ed annuncia l’ultimo brano ma rassicura sorridente “Oh c’mon it’allright, it’s a big one” introducendo Nothing That Has Happened, come dargli torto. Concerto finito, si ritorna sulla terra e tutti a naso in su, ad osservare quel cielo sempre minaccioso e gonfio di nubi del quale ci si era totalmente dimenticati fino a qualche istante prima, complice uno di quei live che non dovrebbero mai avere una fine, proprio come i sogni più belli. 

Setlist : 
Why Won’t You Make Up Your Mind?
Music To Walk Home
Mind Mischief
Solitude Is Bliss
Half Full Glass Of Wine
Elephant
Auto Prog 2
Be Above It
Endors Toi
Feels Like We Only Go Backwards
Oscilly
Alter Ego
Apocalypse Dreams


Encore
Auto Prog 3
Nothing that Has Happened So Far Has Been Anything We Could Control 



lunedì 8 luglio 2013


lunedì 24 giugno 2013

Review


                                                  

Miles Kane Don’t Forget Who You Are 
2013 
Columbia 
ll nostro caro Miles Kane ne ha fatta di strada da quando nel 2004 cominciava a muovere timidamente i primi passi con i Little Flames , band di Hoylake nel Merseyside, divenuti poi Rascals in seguito alla decisione della prima voce Eva Petersen di abbandonare il gruppo per intraprendere una carriera da solista. Decisione che ha permesso a Miles Kane di divenire frontman indiscusso della band ed acquisire ulteriore notorietà nella scena inglese. La notorietà si tramuterà presto in fama grazie al progetto parallelo dei Last Shadow Puppets con l’amico Alex Turner(Arctic Monkeys) che consacrerà il suo definitivo ingresso tra le stelle più luminose nel firmamento della gloriosa terra d’Albione raggiungendo immediatamente, con la pubblicazione di “The Age of the Understatement”, la vetta delle classifiche inglesi. Un successo talmente conclamato da convincere Kane ad abbandonare i Rascals ed imboccare la tortuosa strada verso la carriera da solista a soli 23 anni esordendo con “The Colour of the Trap”, album ben accolto dalla critica arricchito oltretutto dalle preziose collaborazioni di Alex Turner e Noel Gallagher. Preziose quanto quelle di Paul Weller, Andy Partridge (XTC) e Ian Broudie (The Lightning Seeds) nel nuovo album ”Don’t Forget Who You Are”, trentadue minuti tirati ed adrenalinici di puro e sano brit rock in ogni sua più colorita sfumatura. Kane, in questa sua ultima fatica, riprende e rivisita il meglio delle sonorità britanniche degli ultimi 50 anni modernizzandole e riproponendole in 11 tracce (14 nella versione deluxe) da ascoltare rigorosamente ad alto volume. Le liriche sono dirette, taglienti, rivendicative e devono molto allo stile e all’attitudine dei primi Jam (facilmente percepibile lo zampino del modfather in tutto l’album) dai quali cerca di raccoglierne un’eredità ancora però molto lontana. Le sonorità devono molto ai vari Lennon, Gallagher, Bolan, Ray Davies, Townshend ed un pizzico anche di Keith Richards perché no. L’album si apre con Takin Over e si viene immediatamente scaraventati nella Londra primi anni ‘70 tutta paillettes e lustrini dei vari T-rex &co con quei riff incalzanti di chitarre fuzz accompagnate da un drumming stomper che ci perseguiterà praticamente per tutto il disco. Si procede conDon’t Forget Who You Are la traccia che da il titolo all’album e le atmosfere desertiche delle sue chitarre rockabilly sovrastate da ritornelli pop-killer con quel la-la-la che stenta a staccarsi facilmente dalla testa seguita da Better Than That ed il suo ritmo in uptempo con quell’hammond e quei coretti dai forti richiami al soul ballato nelle palestre popolari del nord Inghilterra negli anni ’60 e‘70 rivisitato ovviamente in chiave garage rock, analogo discorso anche per First Of My KindCon Out of Control si ha uno dei rari momenti nell’ascolto dell’album per poter tirare il fiato assieme a Fire In My Heart, due britpop ballad che sanno molto di Verve grazie soprattutto ai loro archi dolci uniti a chitarra acustica e piano che ci rimandano inevitabilmente ai gloriosi ed irripetibili anni ‘90. Dopo il robusto rock’n’roll di Bombshells e Tonight arriva la feroce ed irriverente You’re Gonna Get It eseguita assieme al “modfather” Paul Weller (si vocifera dell’uscita di un prossimo intero disco proprio in coppia con Miles) seguito da Give Upormai noto brano di lancio dell’album. Il finale dell’album è tutto al tritolo e culmina con la scheggia punk rock Start Of Something Big dal giro di chitarra acida che tanto ricorda quella New Rose dei tanto amati Damned. Beat, 60’s sound, soul, psych, garage, glam, punk, rockabilly insomma tanta carne al fuoco ben distribuita in un album equilibrato, dall’ascolto scorrevole e mai noioso, con riff coinvolgenti, beat martellanti, ritornelli riusciti e doppie voci orecchiabili, sonorità in cui l’artista apporta uno stile tutto suo ridendo in faccia al rischio di cadere nel vortice della rivisitazione sbiadita di generi musicali ormai inflazionati. Non viene sbagliato quindi un colpo in quello che si prepara ad essere uno dei dischi più interessanti del 2013. Eh si, Il nostro Miles Kane ne ha proprio fatta di strada.



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sabato 22 giugno 2013

Live Review

Live Review



Calibro 35 @ Teatro la pergola Firenze 15/05/2013


C’è stata un’epoca nel nostro paese in cui l’arte compositiva dei grandi musicisti italiani si metteva al servizio del grande schermo per dare vita ad opere che tutt’oggi fanno scuola nel mondo. Un periodo d’oro che vedeva registi come Mario Bava, Umberto Lenzi, Lucio Fulci, Dario Argento, Elio Petri chiedere collaborazione ai maestri Ennio Morricone, Giorgio Gaslini, Stelvio Cipriani o Riz Ortolani (solo per citarne alcuni) per creare dei vestiti sonori adatti ai propri film, come 4 Mosche di velluto grigio (1971), Casa dalle Finestre che ridono (1976), Una lucertola con la pelle di donna (1971), Il gatto a nove code (1975).
Oggi, grazie al lavoro dei Calibro 35, in “Indagine sul Cinema Italiano del brivido”, tale patrimonio vive una seconda giovinezza. Per la prima volta a Firenze, ad un anno e mezzo dalla precedente ed unica esibizione al Teatro dal Verme di Milano, è stata proposta, nella sontuosa cornice del Teatro della Pergola, una venue particolare, per veri e propri amanti del genere. Una sorta di progetto parallelo in cui vengono messe da parte le colonne sonore dei b-movie poliziotteschi anni 60 e 70, vero e proprio marchio di fabbrica della band milanese, per lasciare spazio e tributare il thriller, il giallo e l’horror. La miscela esplosiva di prog, funk e fusion normalmente riproposto nei normali concerti dei Calibro 35, viene sostituita da atmosfere strumentali inquiete, cupe e perennemente sospese.
Come se non bastasse, per riprodurre al meglio la dimensione orchestrale di quelle colonne sonore, la band sale sul palco accompagnata dalla tromba di Paolo Raineri, dal trombone di Francesco Bucci,dalle percussioni di Sebastiano De Gennaro, dal violino di Rodrigo D’Erasmo (Aftherhours) e dal violoncello di Daniela Savoldi. Due ospiti speciali della serata, provenienti sempre dalla scena indipendente italiana, sono stati la talentuosa Serena Altavilla (cantante dei Blue Willa) e l’eclettico del moog theremin, Vincenzo Vasi, direttamente dalla band di Vinicio Capossela.
Dopo la breve introduzione di Giuseppe Vigna (direttore artistico del Musicus Concentus) si apre il sipario su una esibizione di elevato livello. I Calibro 35 si divertono e fanno divertire per quasi un’ora e trenta minuti il gremito pubblico fiorentino, prendendolo per mano ed accompagnandolo in un suggestivo e coinvolgente viaggio sonoro e visivo (ottimo il gioco di luci sul palco che esalta la potenza delle esecuzioni). Come perfetti alchimisti del suono, giocano ed entusiasmano i presenti mantenendone sempre alta l’attenzione. Merito, oltre la qualità tecnica delle esecuzioni, di una intelligente scelta di 18 brani, prelevati da un vasto campionario cinematografico-musicale, dai ritmi e dalle sonorità variopinte e mai ridondanti che spaziano dall’inquietudine trasmessa dagli archi stridenti e dissonanti e dalle disarticolate sequenze di piano presenti inTrafelato (1971)brano di Morricone, alla psicotica irrequietezza generata da quell’insano giro di cembalo in Tentacoli (1971) di Stelvio Cipriani (traccia presene anche nel poliziottesco La polizia sta a guardare ripreso anche da Tarantino in Grindhouse), attraversando anche sessioni più ritmate come 5 Bambole per la luna d’agosto(1970) di Pietro Umiliani o Rhythm(1972) del grande Luis Bacalov, brani che grazie al loro groove caldo e trascinante hanno scaldato non poco il teatro. Il tutto colorato dalle esaltanti performance di Vincenzo Vasi e del suo theremin durante l’esecuzione di Un tranquillo posto di campagna(1968), eccentrica e sperimentale composizione Morriconiana, e dalle estensioni vocali di Serena Altavilla in Quei giorni insieme a te(1972) di Riz Ortolani che rende pienamente giustizia all’originale interpretazione della Vanoni. Una selezione sonora avvincente, quindi, che riesce a tenere sempre tirato il filo della tensione emotiva in ogni sua sfumatura e che trova il suo momento più alto durante l’esecuzione di Profondo Rosso (1975) della coppia Goblin/Gaslini, per poi terminare dopo una breve pausa con un fuori programma, La morte accarezza a mezzanotte(1972) di Gianni Ferrio.
Si conclude così un evento ben costruito e riuscito in ogni suo minimo dettaglio. Un professionale e appassionato omaggio ai protagonisti di un’era musicale cinematografica e culturale indimenticabile. In chiusura, colpisce l’età media dei presenti: ragazzi che, come il sottoscritto, quaranta anni fa non erano neanche nei pensieri dei propri genitori. Segnale questo, forse, che i Calibro 35 ci sanno fare davvero?



SETLIST
Casa dalle finestre che ridono – Amedeo Tommasi
L’alba dei morti viventi Zombi – Goblin
5 Bambole per la luna d’Agosto – Pietro Umiliani
Cannibal Holocaust – Riz Ortolani
Cannibal Ferox – Budy Maglione
span style="font-size: medium">Shock – Libra
Tentacoli – Stelvio Cipriani
4 Mosche di velluto grigio- Ennio Morricone
Cosa avete fatto a Solange?- Ennio Morricone
Un tranquillo posto di campagna – Ennio Morricone
Una Lucertola con la pelle di donna – Ennio Morricone
Trafelato – Ennio Morricone
Rythm – Luis Bacalov
Quei giorni insieme a te – Riz Ortolani
Allegretto per signora – Ennio Morricone
Il gatto a nove code – Ennio Morricone
Profondo Rosso – Giorgio Gaslini
BIS
La morte accarezza a mezzanotte – Gianni Ferrio 



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Review

Two More Canvases
Two More Canvases
2013
Autoprodotto


 

Yuri Salihi (voce, chitarra), Giulio Maria Di Salvo (voce, chitarra) Tommaso Carlà (basso), Tommaso Brandini (tastiere) e Alessio Bambi (batteria) sono i Two More Canvass. Band giovanissima (età media 18 anni) proveniente da Firenze e dintorni che in soli otto mesi di esistenza ha già inanellato una serie di primi  importanti risultati; su tutti la prestigiosa partecipazione al Rock Contest indetto da Controradio di Firenze (dopo aver superato una selezione tra otre seicento band) nonché prima scelta per aprire le date italiane del tour europeo degli spagnoli Cut Your Hair. Una precocità anagrafica praticamente impercettibile grazie oltretutto alla forte personalità  espressa nell’esecuzione dei cinque brani presenti nell’omonimo EP autoprodotto registrato negli studi El-Sop di Sesto Fiorentino, uscito a fine Marzo. Una notevole qualità tecnica che basa la sua forza sull'impatto armonico delle chitarre elettriche, una serrata base ritmica ed il particolare alternarsi delle due voci con melodie che a tratti riconducono alla mente il calore timbrico di Chris Martin e la particolare intensità di Luke Pritchard. Il suono di queste tracce è facilmente, forse anche eccessivamente, riconoscibile. I Two More Canvass attingono a piene mani dall’indie rock britannico ed oltre-oceanico dell’ultimo decennio  a cominciare dalla chiara somiglianza ai Libertines in “Unclean Babe”, a quei riff tirati stile Strokes in “All my doubts” o alle parti ritmiche e le melodie vocali fortemente riconducibili ai Kooks in “Inner”. Il discorso cambia con le due successive tracce, I’m not dead yet (singolo di lancio) e Desirèe, di superiore maturità compositiva in cui emerge sicuramente più originalità. Un esordio nel complesso molto interessante e, data la rigorosa scelta delle liriche esclusivamente in inglese, un progetto coraggioso ed ambizioso. The kids are alright, i presupposti ci sono tutti, una band sicuramente da tenere d’occhio .
Review

Extra Medium Pony 

11868 
2013 Exit Stencil Recordings 














Review


Midnite 
2013
Tanta Roba
Dopo l’affermazione di “The Island Chainsaw Massacre”,Salmo raggiunge lo stadio più alto in una carriera che lo ha visto partire da zero e farsi strada da solo senza l’aiuto di alcuna giostra mediale. Una escalation possibile solo attraverso coerenza, costanza, le giuste intuizioni collaborative ma soprattutto una maniacale cura delle forme virali di comunicazione. Negli ultimi due anni la quantità di mixtapes, singoli e release non ufficiali con annessi video self-made di elevata qualità hanno contribuito a creare attorno a Salmo una visibilità tale da costruire, beat dopo beat, un solito seguito nella scena rap underground fino addirittura a calamitare le attenzioni del pubblico mainstream più distratto o non amante del genere.
Salmo irrompe nell’attuale panorama musicale italiano con un rap potente ed innovativo allo stesso tempo. Le sue liriche aggressive, dirette e piene di citazioni sono un rigurgito generazionale verso una dimensione terrestre sempre più fittizia e lontana da ogni logica di stabilità. Un’attitudine, figlia prettamente del background hardcore in cui l’artista è cresciuto, che fa tornare l’essenza del rap al suo stato brado, ovvero rendendolo in grado di convogliare attraverso una base strumentale ed un microfono tutta la rabbia e il disagio e di trasformandole in rottura, rifiuto incondizionato della realtà. Un’ indole più realista e “di strada” che dà la scossa ad un rap italiano oggi sempre più annichilito e patinato, salvo qualche eccezione. In “Midnite” Salmo si fa traghettatore inconsapevole di una generazione sempre più sofferente ed impotente ma che ha voglia di urlare in faccia a tutti la propria frustrazione, senza alcun filtro, nuda e cruda portandola ai limiti estremi. Un sound oscuro e ruvido ricco di contaminazioni che spaziano da violente basi synthpunk e dubstep che sparano diretto in faccia tutto il malessere e l’inquietudine della nostra epoca per poi rallentare e mescolarsi a brani più morbidi dai beat più convenzionali , sfociando in alcuni casi in retaggi reggae da dancehall. Sonorità forse non particolarmente avanguardiste a livello internazionale ma che portano una forte ventata di cambiamento nel rap nostrano. Merito, oltre ai brani autoprodotti, anche delle numerose collaborazioni presenti. Su tutti i Cyberpunkers, massimi esponenti a livello mondiale della musica elettronica oltre a Shablo, Big Joe, B.Gil, Stabber e Anagogia. Featuring di tutto rispetto anche nel rappato con Nitro, Noyz Narcos , Mezzosangue, Gemitaiz e Madman.
Fin dal primo ascolto l’album appare complesso e ricco di sfumature dove è difficile trovare una continuità sia sonora che concettuale tra una traccia e l’altra durante la durata dei 42 minuti. L’unica prospettiva dalla quale si può partire per un qualsiasi tipo di interpretazione è il concetto di mezzanotte sviscerato in ogni sua formula in tutti e 13 i brani . Una mezzanotte terrestre eterna, un'ora zero che blocca il progredire del tempo e impedisce lo sbloccarsi della situazione desolante di precarietà ed immobilismo forzato dei nostri tempi. Uno spazio concettuale in cui non c’è una via d’uscita se non nello scetticismo espresso verso il fallimentare sistema politico odierno in Old Boy, nella denuncia sociale e conseguente chiamata alle armi in nome di Rob Zombie, nel rifiuto dell’insana ricerca del successo facile ed immediato attraverso i talent show in Russel Crowe oppure in quella perenne sensazione di alienazione che prima o poi troverà sfogo nella violenza in un giorno di Ordinaria Follia o nelle derive feticiste di Sadico. Una dannazione che si proietterà irrimediabilmente negli scenari fantascientifici del futuro apocalittico ed infernale diWeishaupt dal quale non si potrà far altro che fuggire come espresso in Space Invaders. Una prospettiva fin qui catastrofica e disillusa che va a stridere fortemente con le altre tracce dell’album più introspettive e riflessive. I beat rallentano, la voce da rabbiosa muta e assume toni quasi confidenziali. In S.A.L.M.O. l’artista si apre dando una traccia di speranza esortando a non mollare, ad andare avanti esattamente come lui, nella continua ricerca di una direzione da prendere. Fino ad arrivare all’ultima traccia, Faraway, una ballata inaspettata ma comunque intensa, ben riuscita, mai banale.
Un album quindi dal ritmo “sincopato” spiazzante ed imprevedibile che colpisce l’ascoltatore accentuando quella sensazione di paranoica instabilità volutamente espressa dall’artista. Tutto questo viene accentuato dall’ innata capacità di Salmo nel descrivere la realtà con estrema credibilità e crudo realismo non preoccupandosi minimamente di raggiungere il consenso più ampio ma proseguendo per la sua strada, prendendo le distanze dal mondo circostante ma allo stesso tempo immergendosi in esso filtrandolo attraverso i suoi occhi. In conclusione “Midnite” racchiude la prospettiva dura ma sincera di un artista dannato e complesso, risorto dall’inferno per portare nel panorama rap italiano un progetto musicale di innegabile portata rivoluzionaria. 



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