Live Report
Un altro festival 2014 @ Magnolia – Milano 15/07/2014 Live
report della seconda giornata.
Foxhound, Telegram, Temples,
The Horrors e Dandy Warhols.
La seconda
giornata di Un altro festival si apre all’insegna del bel tempo. Spazzato via
ogni timore sulle condizioni meteo, si riparte mantenendo sempre lo stesso
assetto del giorno precedente, due palchi cinque band. Questa volta spetta ai
Foxhound aprire le danze. Dopo l’esordio al Primavera Sound Festival di
Barcellona lo scorso anno, dopo l’opening set a Peter Hook e XX nella nona
edizione del Traffic festival di Torino, oltre ai numerosi concerti nelle
principali venues di tutta Italia, i quattro giovanissimi ragazzi torinesi si
affacciano dal second stage del Magnolia mettendo immediatamente in risalto
talento e freschezza esecutiva proponendo brani estratti dai loro due dischi
“Concordia” e “In Primavera”, pubblicati rispettivamente nel 2012 e 2014. Il
loro è un indie rock misto a punk e folk con estremità dance pop e funk dal
giusto tiro. Un genere in realtà molto complesso da definire ma che scalda ben
bene il pubblico della prima ora strappando apprezzamenti e numerosi applausi.
Una band da tenere sicuramente sott’occhio nel panorama indie nostrano.
Qualche minuto
alle 20:00 ed arriva il turno degli anglo-scozzesi Telegram. Un quartetto che,
stando a quando scrive il Guardian, si prepara a divenire uno dei gruppi
cardine della nuova scena psichedelica inglese. I Telegram, capitanati da un
energico Matt Saunders, si muovo con personalità sul palco stimolando e coinvolgendo continuamente i
presenti. La band per ora ha all’attivo solo una manciata di singoli tra cui
“Under the night time” e “Follow” (quest’ultimo, il singolo d’esordio,
registrato a Londra dal produttore Dan Carey) che vengono sparati a tutto
volume in un’ottima
amalgama di psych e kraut-rock misto a shoegaze e proto-punk. Sonorità che catapultano
immediatamente in atmosfere tipiche dei mid 60’s e 70’s rivisitate però in
chiave moderna attraverso nuovi linguaggi digitali . Il risultato lascia tutti
colpiti, annoverando anche questa band tra le piacevoli sorprese del festival.
Sempre rimanendo
in tema di scena neopsichedelica inglese, dopo i Telegram è la volta dei
Temples, senza dubbio tra le band più attese. Basta guardarsi un attimo intorno
per accorgersi dell’ingente quantità di curiosi presenti sotto palco, notevolmente
superiori a quelli del precedente giorno a Bologna, stando alle parole di uno
stupito James Edward Bagshaw,
cantante e leader della band (incredibilmente somigliante a Marc Bolan). Il
disco d’esordio “Sun Structures” su Heavenly Recordings ha destato molte
discussioni e pareri contrastanti scatenando un’epica battaglia tra chi
considera i Temples l’ennesimo rimpasto psichedelico (i paragoni con i Tame
Impala si sprecano) e chi vede nei quattro di Kettering i nuovi interpreti di
un genere non solo ripreso ma elaborato attraverso chiavi interpretative
moderne . Tralasciato ogni dibattito da salotto resta una sola certezza, i
Temples hanno un talento innato e “Sun Structures” è uno dei dischi più
interessanti usciti dall’ inizio del 2014. Armonie che si incollano addosso al
primo ascolto, melodie dalle trame complesse ma allo stesso tempo orecchiabili
ed attuali, incisi che si stampano in testa. Sonorità sature che rimandano
inequivocabilmente alla psichedelia barrettiana, al pop dei Kinks, al rock di
Small Faces e Who con derive immaginifiche in perfetto stile progressive. Dal
vivo la band esegue alla perfezione brani tratti dall’album come "Shelter
Song” “Mesmerise” “Keep in the dark” “A Question Isn't Answered” più un paio di
ep tra cui “Ankh”. Viene generato un mix multicolore di riverberi, riff
ipnotici e potenti aperture al limite della percezione uditiva che vanno a
spettinare letteralmente i presenti. A concerto finito non viene lasciato più
spazio ad alcun dubbio, i Temples si preparano a divenire una delle migliori
band britanniche degli ultimi tempi e lo si intuisce facilmente, anche senza
gli elogi di Jonny Marr e Noel Gallagher.
Qualche minuto alle dieci e si torna sotto il
main stage per il gran finale, in attesa dei due headliner della serata, The
Horrors e Dandy Warhols. I primi appaiono sul palco avvolti in una densa nube
di fumo tra effetti visivi e continui giochi di luci e penombre che ne accentuano
notevolmente la già forte presenza scenica. La sagoma esile ed androgina di
Badwan si staglia al centro del palco dando il via ad un’ora di esibizione
intensa, raffinata, sognante. Si inizia con lo shoegaze di “Chasing Shadows” brano d’apertura
del loro ultimo riuscitissimo lavoro discografico “Luminous”. Le continue
contaminazioni electro-psych di “Who Can Say”o “Endless Blue” il post-punk di “Sea
Within A Sea” e“Strange House”, lo space-rock della melodica “Still Life”, vanno
a creare un sound dalle linee delicate ed ipnotiche di rara ed eterea bellezza.
Continui intrecci tra chitarre elettriche e synth risucchiano il pubblico in un
oscuro vortice di noise rock, newwave e goth, un dissonante viaggio notturno e
decadente di forte impatto sonoro, diretto ed innovativo, tra strutture
armoniche ricercate ed innesti interessanti nei motivi. Brani che possono
apparire variabili impazzite come le eclettiche “So you know” e “I see you”
vengono dominati con estrema padronanza tracciando un segno stilistico ormai
facilmente riconducibile ad una indiscussa crescita artistica.
Gli Horrors
tengono bene il palco ammaliando i presenti e creando suggestioni degne della
loro sensibilità compositiva. Il quintetto non delude le aspettative e regala
un’esibizione all’altezza della sua piena fase di maturazione
stilistico-musicale.
Spetta quindi ai
goliardici Dandy Warhols il compito di chiudere la due giorni di milanese di Un
altro Festival. Le atmosfere crepuscolari ed introspettive degli Horrors
lasciano il posto al più energico e spigliato rock suonato dai quattro di
Portland. Con nove album all’attivo e vent’anni di carriera alle spalle,
sembrano ormai lontani i tempi in cui i Dandy Warhols giocavano in un
avvincente botta e risposta con i Brian Jonestown Massacre a suon di
provocazioni in ricercato stile shoegaze e psichedelico. Alla band piace
vincere facile e vengono riproposte, una dopo l’altra, in un’ora e venti di
concerto, le principali hit che hanno contribuito al raggiungimento del
successo mondiale, più qualche brano tratto da This machine, ultima fatica
risalente all’ormai lontano 2012. Un Courtney Taylor-Taylor in gran forma (
come le sue buffe trecce alla piccola squaw) assume immediatamente il controllo
del palco ed introduce con personalità e sicurezza “Mohammed”.
Niente inutili chiacchiere solo tanto buon rock’n’roll. La carica sprigionata
da brani come “Godless” “Be-in” “We used to be friends” “Get-off” è devastante.
Pochi e semplici accordi, riff micidiali e cassa in 4/4 scatenano i presenti.
L’atmosfera si fa subito incandescente ed il pubblico divertito balla ed accenna
un timido pogo sulle note di “Sad Vacation” e “Horse Pills”. Un sound seducente, dall’hype freneticamente schizoide, aggiunge ulteriore
spettacolo all’esibizione di questi quattro ormai veterani del mestiere. Ma il momento topico, inutile dirlo, arriva
con “We Used To Be Friends e “Bohemian Like You”, dove anche il più restio dei
presenti cede all’effetto “saltello adolescenziale” perdendo miseramente anche
l’ultimo stralcio di dignità rimasto in suo possesso. Semplicemente
travolgente. Un finale da ciliegina sulla torta.
Il concerto
termina e con esso il festival. Anche se numericamente non ha regalato le
stesse presenze del precedente anno, complice sicuramente la scelta della
doppia venue, Un altro festival supera brillantemente ogni aspettativa
presentando una manifestazione organizzata alla perfezione con nomi di qualità
sia tra le nuove promesse che tra le band più affermate. Abbandonato quindi il
suo stato embrionale, Un altro festival si trasforma di diritto nella nuova
cenerentola dei festival indipendenti italiani. L’augurio é di poterlo ritrovare,
nella prossima edizione, in una veste ancora più ricca e piena di novità
accattivanti.
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