martedì 13 maggio 2014


Live Report

The Strypes Live @ Covo Club, Bologna 26/04/2014










“Unica data italiana e molto probabilmente ultima occasione per vederli in un club di piccole dimensioni”, le parole utilizzate dallo staff del Covo Club per promuovere l’evento non potevano essere più veritiere. Bologna accoglie con un sold out raggiunto in circa 15 minuti dall’apertura degli ingressi la prima ed unica data italiana da headliner per gli Strypes, quattro giovani irlandesi originari di Cavan (età media 17 anni) che da tre anni a questa parte stanno stregando il mondo intero con il loro rock figlio della migliore tradizione rythm’n’blues, sia bianca che nera, a cavallo tra gli anni 50 e 60 arricchita da massicce iniezioni di garage rock, punk, power pop . Una giovanissima carriera in continua escalation, dalle esibizioni sui palchi europei ed americani in apertura  ai concerti di artisti del calibro di Jeff Beck, Paul Weller o Arctic Monkeys fino ad arrivare alla recente apparizione al Late Show con un David Letterman totalmente colpito da questi quattro “ragazzini” che ormai annoverano tra i loro fan anche nomi come Elton John, Noel Gallagher, Dave Grohl o Roger Daltrey.
Ad un anno dall’esibizione al Mediolanum Forum di Assago in apertura agli Arctic Monkeys , gli Strypes tornano in Italia per promuovere il loro primo album Snapshot entrato subito nella top five inglese a pochi giorni dalla pubblicazione.
In un Covo stipato all’inverosimile, la band sale puntuale sul palco in perfetto smart dress raggiungendo velocemente gli strumenti. Un abile e spigliato Josh McClorey rompe subito gli indugi scambiando qualche battuta con i presenti e annunciando il primo brano What a Shame esortando tutti a scatenarsi rigorosamente sottopalco, detto fatto.
Un groove aggressivo e pulito, fatto di distorti riff di chitarra, corpose linee di basso, voci graffianti, velocità e potenza alla batteria colpisce letteralmente i presenti. Gli Strypes continuano senza sosta rincarando la dose con So they say singolo estratto dal loro ultimo Ep 4 track mind e l’anfetaminica cover Lucky 7 dell’ armonicista e cantante Lew Lewis (ex membro degli Eddie and the Hot Rods poi solista per la Stiff Records). Il concerto prosegue con una scaletta ricca (23 brani), ben studiata e tirata in perfetto stile punk, lasciando poco o nulla a pause o tempi morti tra un pezzo e l’altro. Un vero e proprio mix al tritolo di rhythm and blues, rock 'n' roll delle origini, elettricità hard e carica adrenalinica. Vengono riproposti i brani di maggior successo estratti dall’album Snapshot come She’s so fine, What the people don’t see, Mystery Man o Angel Eyes (brano che si ispira alle gesta di Lee Van Cleef nel film Il Buono Il Brutto Il Cattivo), uniti a singoli estratti dall’ultimo Ep come Hard to say no, Still gonna drive you home, I don’t want to know  e cover di grandi artisti blues come Bo Didley, Jessie Hill, Slim Harpo ma non solo (Specials, Nick Lowe) . Come se non bastasse il tutto viene suonato al massimo volume con capacità tecniche e padronanza del palco fuori dalla norma. I quattro irlandesi interagiscono col pubblico con la stessa naturalezza delle band più affermate, scherzando e coinvolgendo tutti con il loro “maximum R&B” di altissima qualità per un totale di un’ora e trenta di esibizione al cardiopalma. Ma il momento clou del live viene raggiunto nell’encore con le cover di Rockaway Beach dei Ramones seguita dall’inno generazionale Louie Louie dei Kingsmen e quell’ipnotico giro di chitarra che nell'inciso varia riprendendo gli accordi di Day tripper dei Beatles, scoppia il delirio. I più facinorosi (complice anche la giovane età)  invadono il palco cantando assieme ai divertiti Strypes  regalando al pubblico “più anziano” rimasto ad assistere divertito, un finale degno delle migliori scene goliardiche viste in Animal House. Il concerto termina, la band ringrazia, la sicurezza ripristina l’ordine. I ragazzi ci lasciano con una prestazione all’altezza della fama raggiunta. Il termine“the next big thing” oggi sempre più inflazionato dai giornali inglesi, sembra in questo caso più appropriato che mai. L’elemento che più colpisce della band, oltre l’impressionante talento e la giovane età, è il bagaglio musicale. Avere nel proprio dna un sound di almeno 40-50 fa, rispettarlo, padroneggiarlo con tale naturalezza e riproporlo con successo tutt’ oggi e a questi livelli (riportandolo oltretutto in auge tra le giovani generazioni) , non può che essere di buon auspicio per il futuro della band e per gli amanti della musica di qualità. La speranza è che questi quattro ragazzini poco più che maggiorenni non perdano la testa proseguendo sempre su questa strada, senza mai smarrire il “blues” che hanno nell’anima.


SETLIST
What A Shame
So They Say
Lucky 7 (Lew Lewis)
She’s So Fine
What People Don’t See
I Don’t Wanna Know
I’m A Hog For You Baby
I Can Tell (Bo Diddley)
Still Gonna Drive You Home
Angel Eyes
Ooh Poo Pah Doo (Jessie Hill)
Hard To Say No
Concrete Jungle (The Specials)
Perfect Storm
Mystery Man
Hometown Girls
Got Love If You Want It (Slim Harpo)
Blue Collar Jane
You Can’t Judge Book (Bo Diddley )
Heart Of The City (Nick Lowe)
Rollin’ & Tumblin’ (Hambone Willie Newbern)

ENCORE

Rockaway Beach (Ramones )
Louie Louie (The Kingsmen)

Review

L'orso
L'orso
2013
Garrincha Dischi





Spaccati di vita post-adolescenziale, le incomprensioni di amori superficiali, la noia degli anni zero, le difficoltà nel cercare un  lavoro, le notti insonni, la sociopatia, la nostalgia di una spensieratezza che piano piano sta svanendo per lasciare spazio alla vita adulta, si parla di tutto questo e non solo ne “L’orso” il primo disco dell’omonima band di casa a Milano formata da Mattia Barro (voce e chitarra) Tommaso Spinelli (voce e basso)  Gaia D’Arrigo (violino tastiere, cori) Giulio Scarano (batteria, cori) pubblicato per Garrincha Dischi. Variopinti affreschi di vita descritti attraverso uno stile argomentativo istintivo, informale, diretto si vestono di melodie fresche, immediate, semplici. Una forte prevalenza di fiati, archi, fisarmoniche e benjo  da quel sapore un po retrò unite a chitarre acustiche dai delicati arrangiamenti vanno a generare un sound decisamente lo-fi mescolato ad un indiepop dalle venature folk . Il disco presenta undici tracce , metà delle quali prelevate dai tre precedenti EP (La provincia, L’adolescente e La domenica) e riarrangiate. Un album morbido, di forte impatto emotivo che parte in sordina con lo struggente giro di violino nella malinconica Ottobre come Settembre , che sfocia nei ritmi più serrati e toni più espliciti di La meglio gioventù per  poi rientrare nelle leggere armonie voce e chitarra di Invitami per un tè . Impalcature armonico-ritmiche elastiche e di aggraziata variabilità si sviluppano nella frivolezza caraibica di brani Come I nostri decenni o nel valzer sincopato di Certi periodi storici fino ad arrivare ai motivetti facilmente orecchiabili di Acne giovanile con i suoi coretti minimali e le marcate linee di basso o all’inaspettato rap nel pieno della intimista  James Van Der Beek. L’album si conclude con Baci dalla provincia, forse il brano più riuscito con i suoi incisi di fiato e fisarmonica coinvolgenti che accentuano l’ attento ascolto su tematiche di vita di un moderno ragazzo di provincia come gli amori perduti, le sbronze con gli amici, la disillusione o le insicurezze del presente. In conclusione “L’orso” si presenta come un disco scorrevole e di piacevole ascolto che colpisce per la sua genuinità e semplicità dove diapositive di una generazione 2.0 scorrono inesorabili in un continuo flusso di note e parole. Un progetto sicuramente riuscito in cui i quattro ragazzi riescono a descrivere con tatto, originalità ed innata sensibilità cantautorale una delicata e complessa fase di vita.


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