The Enemy @ London O2 Shepherd's Bush Empire 24/05/2012
Londra 24 maggio 2012, lo Shepherd's Bush Empire, storico "teatro musicale" situato nell'omonimo quartiere ad ovest di londra, stasera ospita gli Enemy.
Tom Clarke (chitarra, voce), Andy Hopkins (basso, seconda voce) e Liam Watts (batteria) tornano in tour nel regno unito per promuovere Streets in the sky, la loro terza fatica dopo i successi di We'll live and die in these towns (esordio al primo posto nelle classifiche britanniche nel 2007) e Music for the people (seconda posizione nel 2009) .
Motivato dall'eterna passione per i tre ragazzi di Coventry fin dai loro primi ep, incuriosito dalla possibilità di poterli vedere "in patria" ma, soprattutto, incoraggiato dall'esiguo costo del biglietto (£12!) decido di recarmi allo Shepherd's Bush Empire.

Il teatro, di proprietà della BBC fino al 1991 successivamente acquistato da un privato, tra platea e gallerie ospita circa 3000 persone. L'evento è ovviamente sold out, tra il pubblico pagante molti casuals, mods, scooterboys e qualche punk della prima ora con prole al seguito comodamente posizionato in galleria.
L'atmosfera comincia subito a scaldarsi grazie al dj-set pre-concerto: brani come Eton rifles dei Jam, Rock the Casbah dei Clash, Our House dei Madness, Baba O'riley degli Who echeggiano nella sala, l'intero teatro segue "urlando" ogni singola strofa, roba da far accapponare la pelle.
La folla, come si suol dire, ora è letteralmente in delirio e proprio sulle note finali di Baba O'riley salgono sul palco gli Enemy, la musica sfuma, i riflettori si spengono, Tom Clarke saluta il pubblico e attacca subito con Gimme the Sign primo singolo tratto dall'ultimo album.
Un muro di suono si solleva e con esso anch'io, spinto però da circa cinquecento inglesi impazziti. Cominciando a maledire me stesso ed il mio dannato amore per il sottopalco, cerco in qualche modo di resistere all'albionica bolgia inferocita. Come se non bastasse comincia a piovere birra da ogni parte, come è tradizione da queste parti; ne compri quattro, ne bevi una, ne lanci tre (inglesi gran popolo).
I tre "angry lads" di Coventry sono in serata e rincarano la dose proseguendo con Aggro, Had enough, Saturday e poi ancora Away from Here, Be somebody, 1-2-3-4 e Bigger case.
Si scatena il panico, partono a mille e praticamente non si fermeranno mai, senza respiro. Pezzi tirati, ancor più dal vivo, riff violenti, liriche aggressive, provenienti dalle strade, dall'inghilterra reale, fatta di crisi, cemento, fabbriche, sudore, sopravvivenza e futuro incerto, ben lontana dall'immagine vincente, tutta lustrini e paillettes, fortemente voluta dall'estabilishment britannico nelle sue tv nazionali (fenomeno accentuatosi proprio a ridosso delle imminenti olimpiadi di Londra).

Quest' attitudine "punk" ha generato forte seguito tra le nuove generazioni della working class inglese, il calore e l'enfasi manifestati nei loro confronti durante tutto il concerto ne sono la conferma. In patria sono praticamente degli idoli.
No time for tears è il primo brano dalle chitarre dolci che scivolano su ritmiche molto più lente e cadenzate, puro ossigeno per i presenti e soprattutto per il sottoscritto. Il brano deve molto a This is England dei Clash, band che forse ha più influenzato le loro sonorità oltre ai forti riferimenti a band come Jam, Stone Roses, primi Oasis, Libertines, Stones. Proprio l'esecuzione di No time for tears a traghettarci verso la seconda fase del concerto, meno "violenta" e molto più "acustica" della prima.
No time for tears è il primo brano dalle chitarre dolci che scivolano su ritmiche molto più lente e cadenzate, puro ossigeno per i presenti e soprattutto per il sottoscritto. Il brano deve molto a This is England dei Clash, band che forse ha più influenzato le loro sonorità oltre ai forti riferimenti a band come Jam, Stone Roses, primi Oasis, Libertines, Stones. Proprio l'esecuzione di No time for tears a traghettarci verso la seconda fase del concerto, meno "violenta" e molto più "acustica" della prima.
Così è la volta di Happy Birthday Jane, This is Real, Like a dancer e This song splendide ballad in perfetto stile brit rock che mutano completamente l'atmosfera dello Shepherd's Bush Empire rendendola molto più distesa, quasi surreale. I nervi si rilassano lasciando spazio a cori ed occhi lucidi. Tom chiede di sostituirlo alla voce ed il pubblico risponde egregiamente. Dopo This song la band abbandona il palco per una breve pausa proprio nel momento di maggior empatia con i presenti .
Acclamati come eroi moderni, i tre escono dopo qualche minuto e si preparano al gran finale.
Si riparte con We'll live and die in these towns, singolo che da il nome al loro album d' esordio, per molti dei presenti più di una semplice canzone, uno spaccato di realtà inglese in cui non è difficile immedesimarsi, un nuovo inno generazionale che si scolpisce nell'animo di chi l'ascolta.
Puro, diretto, brutale, facilmente paragonabile ad un'altro inno epocale, That's entertainment dei Jam, non solo per la forte assonanza musicale ma anche per l'incisività del testo.
Siamo arrivati all'ultimo pezzo, You're not alone, tra i più riusciti del primo album. Una gloriosa cavalcata dal ritmo "in levare" della batteria affiancata da una chitarra elettrica ed un basso dannatamente ostili. Riparte il pogo, al quale stavolta decide di partecipare anche Andy Hopkins con un clamoroso stage diving dopo aver abbandonato il basso sul palco per qualche secondo, ritornerà a suonarlo poco dopo con i jeans completamente a brandelli, esilarante.

Il concerto finisce, un'ultimo saluto e si riaccendono i riflettori. I ragazzi hanno dato tutto, hanno coinvolto, hanno emozionato, si sono divertiti ed hanno fatto divertire tutti.
Esco dallo Shepherd's Bush Empire distrutto ma soddisfatto, fiducioso di poterli rivedere al più presto in Italia, purtroppo conscio di non poter più assistere ad un'esibizione di simile intensità.
Doveroso chiudere con un'accenno al gruppo spalla, i Violet May. In attivo da un paio d'anni, provenienti da Sheffield. Suonano del buon brit rock indipendente stile madchester. Sono già scesi in italia lo scorso anno toccando Roma, Firenze e Venezia come confermatomi dal cantante Chris Mclure davanti ad un paio di pinte in un pub limitrofo allo Shepherd's Bush Empire, poco dopo il concerto. Il loro ultimo singolo si chiama Bright or Better. Ne possiedo orgogliosamente una copia numerata in vinile gentilmente regalatami dalla band con tanto di dedica: "To Daniele Forza Italia"...beata l'ignoranza.
Setlist
Gimme The Sign
Aggro
Had Enough
Saturday
Away From Here
Be Somebody
Bigger Cages (Longer Chains)
No Time for Tears
1-2-3-4
Happy Birthday Jane
This Is Real
Like A Dancer
This Song
We'll live and die in these towns
You're Not Alone
The Enemy sito ufficiale